lunedì 18 dicembre 2017

Un solo filo conduttore: la vita vissuta - Giovanna e Carlo Ripolo


La vita è tutto ciò che ci portiamo dentro in modo più o meno e non sempre cosciente, attraverso un gioco continuo di ricordi e di rimozioni: l'amore, il piacere, i valori che danno senso, la condizione dell'uomo con le sue visioni pessimistiche e contrarie, le emozioni e le riflessioni del viaggiatore pellegrino su questa Terra, il mistero della morte e il confine fra due mondi che solo la pietà può congiungere, il ruolo degli oggetti "che spesso ridono dei comportamenti umani", il sogno, la realtà, la forza dei ricordi, la ripetitività, le abitudini, la coscienza del tempo e il suo incedere incessante, i pensieri in libertà e quelli trasformati in progetti...

Ebbene, è con questo mondo che la poesia s'incontra e si scontra..., traducendola in emozioni. Ogni volta che dallo scrigno della memoria o dal serbatoio della vita in diretta riaffiorano pezzi e brandelli della nostra esperienza, in atto o già archiviata, è come assistere ad una seduta di analisi e di introspezione..., è come liberarsi dei vestiti per tuffarsi nell'acqua del mare estivo.
Nei sublimi versi di Angela Caccia incontriamo tutto questo... un filo conduttore: la vita, vissuta in ogni sequenza, a volte subita, ma sempre unica e irripetibile.
Ma andiamo per ordine, cominciando dal titolo.

"Accecate i cantori" è un titolo forte, criptico, enigmatico, quasi un grido di dolore, ma anche di liberazione dai condizionamenti e di superamento delle categorie spazio-temporali... Non mi piace pensare ad un invito, piuttosto ad una sottolineatura certa e convinta: la società tecnologica e materialistica dominante vuole "accecare i cantori" e distruggere la poesia, ma loro, seppur ciechi e menomati, hanno la forza e il coraggio di continuare a cantare e a poetare con maggiore lena e voce squillante...
Una silloge ben costruita, equilibrata, armonicamente strutturata. Priva dei canonici titoli e con punteggiatura ridotta all'essenziale (solo all'Indice, per comodità consultiva e organizzativa del libro, è riportato il primo verso delle singole poesie; e, l'unico stacco tra una poesia e l'altra è determinato dalla lettera maiuscola iniziale), la raccolta evidenzia un'unica e identica tensione emotiva, un percorso ad incastro fatto di vecchie e nuove orme: "A chi conferma rotte / calando il piede / nella traccia buona / già calcata  // a chi ne imprime di nuove / col coraggio e la solitudine / della prima orma".

Un intreccio formale, quasi un ordito e una trama da tessere, che si cala nella realtà composita, tra problemi e domande. Non un solo tema, ma diversi e numerosi gli spunti che si presentano qua là, spesso in modo prepotente e improvviso, immersi e intinti nei piccoli e grandi gesti quotidiani:
- il male, dal quale difendersi con appropriati anticorpi, che la vita e l'esperienza somministra: "non ci si addestra mai al dolore/ al male si / per fronteggiarlo / in qualche modo";
- la solitudine dell'uomo, in compagnia spesso solo di se stesso, con la convinzione che "crescere / è l'avventura di solitudini n mare aperto / a reggere il vento contro / a scandagliare la folata che avvantaggia"; e il conforto che "tra due solitudini / resta solo un verso / la chiacchiera migliore";
- "i grandi silenzi acquattati tra le sillabe", che sanno ascoltare, che parlano al cuore e alla ragione, che sanno ascoltare, che parlano al cuore e alla ragione, che riempiono ogni vuoto, che rimbombano nelle coscienze, che stimolano il dubbio la ricerca la conoscenza il senso della vita, quasi impercettibili segni di immortalità, da curare come preziose reliquie in teche adeguate;
- la poesia, che sospende e dilata il tempo, in un continuo contrasto tra l'assoluto e il niente, tra la vita e la morte, uno stato di grazia, "un punto vuoto / sacro che / nessuno profana / in quel misterioso / acquietarsi degli estremi"; la poesia come tentazione; la poesia che si cala nel rapporto madre-figli: "se c'è una madre c'è un figlio / e il respiro resta circolare..."; la poesia come catarsi, come nostalgia, come scuotimento sentimentale, nell'eterno contrasto morte-vita, nel continuo calarsi agli Inferi e salire in Paradiso, nel lavoro continuo di distruzione e ricostruzione della nostra esistenza...;
- il vivere quotidiano, con continui riferimenti ad oggetti, cose, comportamenti familiari alla poetessa (chicco, germoglio, seme, seminare, mietere, pane, sazietà...), in termini sacrali, mai banali e riduttivi, quasi un richiamo inconscio, istintivo, ancestrale del paese natio, patria eccellente del pane buono e di prodotti alimentari eccellenti, quasi un ritorno ai gesti e ai riti, che si svolgono ogni giorno nelle nostre case e nelle nostre famiglie;
- la sofferta condizione filiale, per la difficoltà e l'impotenza a gestire le patologie e le sofferenze della madre;
- le diverse sfaccettature dell'emigrazione, eterna piaga delle nostre contrade, con il carico di sofferenze esistenziali "...un vecchio emigrante / partì straniero in Germania / tornò straniero a casa sua..."
- l'amore, non "più sostantivo generico / ma il nome tuo il mio... / un paio di braccia in cui perdermi / una spalla per poggiare i pensieri più faticosi".

I versi di Angela Caccia sono ricchi di musicalità e di ritmo, vanno gustati, introitati, trasformati in carne e sangue, alimento primario per lo spirito.
Versi profondi, che riflettono un travaglio interiore, testimonianza di un'anima sensibile, quasi fuori dal suo tempo, ma solo di quel tempo fatto di fretta, di smanettamenti telefonici, di calcolo, di opportunismo... che ci indica la via della riflessione, della interiorità, della ribellione contro la staticità e l'inerzia, del dolore in tutte le sue forme, della nostalgia come constatazione dolorosa del tempo che passa...
Versi caratterizzati da puntigliosa ricercatezza formale e stilistica: "noi che curavamo le parole / come le stanze dell'umano / come i nostri balconi / dalle sempre primavere..." Non improvvisati, incisivi, studiati, significativi, evocatori di atmosfere, a volte simbolici e/o criptici, sempre profondi e sofferti, qualche volta imperfetti "poesia è spesso un verso storto / buono solo a convincere / sulle oneste intenzioni di chi l'ha scritto", oppure incompiuti "a tempo scaduto / sarà forse l'incompiutezza / la parte più vera e dolente / del corpo di un poeta".

 Giovanna e Carlo Ripolo