venerdì 8 maggio 2015

Il tocco abarico del dubbio di Angela Caccia - Fara Editore
Prefazione di Anna Maria Bonfiglio



Pubblicare un libro di poesie significa mettere fra le mani dei lettori una creatura che si consegna spogliata di ogni pudore. Nel momento in cui accettiamo di essere testimoni e padrini di questa sorta di battesimo ci assumiamo una doppia responsabilità: verso l’autore, a cui abbiamo il dovere di dedicare la massima attenzione, perché, come sosteneva Baudelaire, nel suo lavoro c’è “il suo sangue e la sua anima”; e verso i fruitori che hanno il diritto di acquisire la chiave per potere cogliere appieno il significato artistico ed intrinseco dell’opera che andranno a leggere. Fra l’autore e il lettore si stabilirà così una sorta di comunicazione “in assenza” sostanziata dalla parola poetica, prezioso ponte fra la vita interiore e la realtà del mondo. Per dono o, citando ancora Baudelaire, per “maledizione” la verità del poeta assumerà un carattere assoluto, universale e, direi, mitopoietico, consustanziato dai segni del vivere e trasfigurato dalla potenza evocatrice dell’arte.

La raccolta poetica di Angela Caccia già dal titolo, Il tocco abarico del dubbio, annuncia un percorso di particolare interesse e al contempo pone il lettore di fronte alla necessità di una prima decodificazione. Il punto abarico, o zero gravity point, è quella zona in cui le forze gravitazionali terrestri e lunari si annullano a vicenda generando un punto zero. In questa esatta posizione si inscrive il dubbio, che non porta verità né inganno, che affranca razionalità e coscienza da scelte precostituite e che, infine, conduce alla consapevolezza del sé. Il dubbio a cui ci pone di fronte la poesia della Caccia è sostanziato da una visione a 360 gradi dell’esistenza: dubbio sulle false certezze che oscurano la verità, dubbio sul destino escatologico dell’uomo, dubbio sui ruoli che lungo il nostro cammino ci scegliamo o subiamo. Nelle cinque sezioni in cui si scandisce la silloge, ognuna delle quali preceduta da una breve prosa poetica, vengono trattati i nuclei tematici che costituiscono il paradigma del diagramma esistenziale. Nella disposizione dei testi sulle pagine l’autrice non segue un filo conduttore, ma lascia che la Parola si componga da sé “in un tempo senza binari”, ovvero senza linee-guida, senza tragitti prestabiliti.

All’inizio della raccolta ci troviamo di fronte ad un testo che ci racconta del rapporto madre-figlia nel momento del distacco definitivo: “Nell’ultima stesura del racconto/la tua penna scrive a tratti(…) sarai altro /altrove /nell’incavo di mani più grandi…chi reggerà fino a lì il tuo passo?” Impotenti di fronte alla meta ultima, inermi davanti all’ineluttabile, non resta che affidarsi alla speranza di una Bontà Superiore che saprà guidare i passi verso l’ultimo tragitto, in questo stanno la pena e il conforto, quando ad altro non si è più in grado di provvedere. Ed il dolore è senza nome: “poi ti sfebbrerò sulle ginocchia/saremo amici/e ti darò un nome”. Nella raccolta il tema della morte è molto presente, ancorché alleggerito dall’esperto verseggiare e addolcito dall’adozione di aree semantiche afferenti alla natura e/o agli impulsi emozionali:Una sedia vuota /piange la tua assenza /bastò un granello /a zavorrarti l’ala”. (Pysichè). “Morire magari/con la luna dei monti/in un coro di stelle/nel silenzio di rose selvagge”. (Le braccia allungate). “cosa impastò per ultimo la bocca? /A noi, strati di tempo, /memorie ancora da colmare/il difficile piacere del dubbio”. (Nello sguardo di chi resta). “Caino pigia un tasto e uccide/ di una morte scollata dal dolore”. (Un rumore di fondo). “a stento /l’ultima rampa di scale/la morte sarà un pugno di terra sul viso/e il grande volo”. (Io e te). La morte nella poesia di Angela Caccia è declinata nelle sue tante sfaccettature senza essere mai considerata aspetto risolutivo e finale ma piuttosto uno dei tanti cambiamenti a cui l’uomo e la natura sottostanno.
Nella sua opera Riflessioni sul senso della vita Sebastiano B. Brocchi, studioso di filosofia esoterica, afferma: “Molti commettono l’errore di considerare la morte come l’opposto della vita, dimenticando che l’opposto della morte è la nascita”. Dalla nascita infatti si perviene alla percorrenza di un ciclo che racchiude in sé ogni potenziale vicenda. E la poesia di cui ci stiamo occupando copre molti aspetti di questo ciclo che Camillo Sbarbaro definì “la condanna di esistere”. Il dolore del vivere è una tensione che può coprire ogni tempo e ogni stagione della fase vitale: “(…) vivere è una stanza in/penombra di fili spinati/il continuo frugare di/un raggio tra pietre che/profilano ombre”. (C’è un tempo). L’ardito enjambement che spezza l’unità sintattica del verso assegna un timbro fortemente personale a tutto il componimento ed è una cifra connotativa di tutta la poesia cacciana, almeno per quanto riguarda questa silloge.

In questa temperie esistenziale trovano comunque posto altre istanze: la lievità della giovinezza, ricordata con i sogni e le speranze che l’accompagnavano, “briciole” di parole che diverranno versi, poesia, canto, e memoria che porta con sé “la scadenza di un sogno/ che torna e mi prende per mano”; la solennità della meditazione quando si compie il giorno e la sera reca l’oscurità e la magia che feconderanno la parola poetica: “da sottili geometrie di sillabe/cade una tua carezza e ti sembra/di toccarle le parole”; l’amore: “Lasciami i tuoi occhi/vedrò il fiore minuto/e bianco tra le agavi/aprirò con le tue/le mie labbra al bello”; il legame madre-figlio coniugato nelle due valenze, umana e divina. Infine, su tutto, predominante l’area coperta dall’urgenza di sentirsi ed essere poeta. “Si fa fiume la pagina/ schizzi le sillabe/ guizzano/ tra l’erba e i rami/ scoiattoli di parole”. La parola che chiama è “un bocciolato chiuso” che bisogna far fiorire. Per la nostra autrice la Poesia è predestinazione e salvezza, impegno vitale, ricerca ed esperimento: “tra ritrosi belati dell’io/continua a chiamarmi un canto”. Il suo verso è maturo sia nell’espressione delle pulsioni emozionali sia nella composizione della struttura formale; la scelta lessicale si compiace dell’uso di una terminologia accurata, semanticamente correlata alla funzione comunicativa; il metro libero sposa l’uso delle figure retoriche abilmente distribuite nel contesto compositivo.

La poesia di Angela Caccia andrà ancora e sempre avanti, “gli occhi puntati ad est/e il fiato corto”, perché la poesia è anche fatica e nel suo percorso non conta l’arrivo ma il cammino.