mercoledì 1 maggio 2013

Il fruscio della speranza – recensione di Rosa Elisa Giangoia



Rosa Elisa Giangoiauna roccia della letteratura italiana contemporanea; una casa e un paese, per quanti, come me, trovano in lei un indiscusso punto di riferimento. 



  La poesia d’apertura (Incipit) di questa nuova silloge della poetessa calabrese Angela Caccia si imprime subito con rilievo nella nostra mente, fin dalla prima lettura, per quel suo incisivo tono riflessivo e sapienziale, che dimostra l’impegno dell’autrice a ricercare e a comunicare agli altri, attraverso l’efficacia della parola poetica, il senso della vita: un senso imperniato sulla dialettica tra la salvezza, garantita dalla Resurrezione, e la nostra umana debolezza, che ci fa facilmente cadere nel tradimento, come quello di Pietro, scandito dal canto del gallo. Correlativo oggettivo di questa tensione (alla maniera di Eliot  e Montale) diventa il “fruscio feroce di ulivi ignari”, voce della natura, stravolta dall’incapacità di comprendere il senso che misteriosamente pervade l’arco della nostra esistenza, dal nascere “nella penombra di una grotta”, come “una scintilla”, fino al morire che diventa l’”incipit di un’altra storia”, affermato con fiducia dalla poetessa. Tensione dialettica ripresa in Giardino, con forza nel verso “Storia perenne amare – tradire”, in una lirica che si conclude  nella luce della speranza. 

Entro quest’arco sta tutto il vivere, lungo il quale vengono tracciate linee esistenziali che ritmano la ricerca del senso, il conquistarlo ed il perderlo (“Ti perdo tra i fili / ai limiti d’ogni pensiero Ti ritrovo / e piovono note senza musica”, in Forse una preghiera), raffigurato con la metafora del viaggio (Senza titolo), per approdare “dove la coscienza si fa porto”, sempre “nell’insana nostalgia del centro” (Il ciottolo). Ma l’impegno della poetessa è soprattutto quello di includere e sistemare la vita in quest’arco, recuperando tutto ed orientandolo verso il centro ed il valore. E’ il “chiarore di vita che si dona per attimi”, che deve farsi “chicco di grano che torna a cadere nel solco” (Ci sono giorni), in cui anche le Parole in fuga della sensualità possono trovare una loro giusta collocazione, perché la vita è anche e soprattutto Nelle cose dell’amore  e nei sentimenti, che comprendono la continuità della fedeltà matrimoniale (Ogni giorno) ed i momenti forti dell’esperienza della maternità e della conseguente crescita ed educazione dei figli (Sapevi di bozzolo, Gli occhi negli occhi), che si amplia ad una riflessione, in consonanza, sulla maternità di Maria (Dal Vangelo di Maria). Ma la poesia è anche stabilire legami con il padre defunto (Dal tuo silenzio) ed esprimere la malinconia per lo scivolare della madre nell’inconsapevolezza di una vecchiaia che l’isola e l’allontana (Altrove) dai rapporti d’affetto.

La ricerca poetica di Angela Caccia è finalizzata all’individuazione di quanto è autentico per l’uomo (“Sconfessa il fasullo del mondo / che il giorno ostentava / ma attesa voluta o temuta / dal falso si affranca” in Frammenti ), poiché solo attraverso l’efficacia e la pregnanza della parola poetica l’uomo “raccatta frammenti di sé che / il giorno ha disperso”). La Poesia è un interrogarsi, un andare a fondo, un mettersi in discussione con difficoltà e fatica, tanto che la poetessa può dire: “così / consumo le mie nocche / alle porte serrate della coscienza”. In quest’ottica anche l’esperienza della preghiera è fatica e difficoltà nell’afasia di  fronte al divino e all’eterno (Due parole).

A queste poesie d’intensa tensione esistenziale si affiancano liriche di più riposata osservazione (Settembre eSe fosseE’ di marzo) e altre, come L’indistinto, in cui elemento rilevante diventa “l’alba”, che “incede” e che si fa simbolo di speranza e fiducia nel futuro che si rinnova ogni giorno. Quest’apertura fiduciosa alla speranza contraddistingue anche alcune liriche di carattere sociale e civile, come I giorni sottili, in cui il pensiero dell’autrice va al terremoto in Emilia nel 2012, con un sofferto pensiero al mistero del destino, pur sempre sostenuto da una speranza di salvezza (“se il Gòlgota profano / dà resurrezione”), e Lettera alla mafia, in memoria dei giudici Falcone e Borsellino, anche qui nella fiduciosa speranza di superamento di una situazione lacerante, espressa con immagini floreali che alonano il pensiero di un’ulteriore positività (“se sotto le foglie marce / cova il fiore / per cento bocci feriti / a cui recidi il capo / mille girasoli si volgeranno al sole”). Ed ancora cronaca, ispirata all’alluvione in Liguria nell’autunno del 2001, quando “una pioggia impietosa ha tumulato / la Liguria”, fino al canto altissimo A Giovanni Paolo II, “un uomo dipinto di cielo / che si macchiò di terra / e fu il racconto di Dio.”.

Quella di Angela Caccia è una poesia originale nell’espressione, elaborata e creativa, che ricerca modi sempre nuovi ed efficaci di parlare delle cose della vita, in una prospettiva aperta alla speranza trascendentale, una poesia che ha i suoi elementi forti di ispirazione letteraria in Celan e Borges, ma anche in un’attenzione particolare per Davide Rondoni a cui è dedicata la lirica Di te conosco e che è l’autore dell’acuto e penetrante saggio introduttivo (Paradosso poetico).

Rosa Elisa Giangoia

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