giovedì 25 aprile 2013

“Ti scrivo dall’aurora …” - Recensione di Costantino Simonelli



Il “modesto scrittore di poesie e lettore di queste” – così si definisce il Dott. Costantino Simonelli, medico, fine poeta e critico tra i più spietati e veraci - è uno dei miei incontri più fortunati e fruttuosi in internet. A quest’ultimo sono grata: nel suo mare magnum molte le ciambelle di salvataggio e, come in questo caso, un autentico veliero, sospinto da venti generosi.

Il suo scritto mi ha commossa e mi commuove, profondamente: GRAZIE!

AC

Conosco Angela Caccia per occasionali incontri sul web in comuni luoghi in cui si discute di letteratura e poesia. Non so la sua storia di vita né il suo percorso poetico. D’altra parte, io sono solo uno dei tanti modesti scrittori di poesie, lettore di queste, a volte affamato, a volte sazio sino all’ “abboffamento”, qualche volta alla ricerca di un verso nuovo, sagace, importante, che ti penetra dentro e ti fa pensare, immaginare, rivivere certe cose dimenticate; in due parole, evocare e rievocare. E se proprio quel verso è forte, crearti un sano conflitto.
A volte bastano, di tutta una silloge, uno o due versi con questi connotati sopra espressi per appassionarti a tutto il resto, per aver voglia di scoprire la chiave di lettura di tutto il resto, per volere creare una sorta di simbiosi momentanea con l’autore di quei versi.
Ti scrivo dall’aurora” Sembra un verso d’incipit quasi insignificante, e può essere che lo sia, ma io credo di no. Credo che in questo incipit – l’atto  forse più spontaneo di tutta una poesia, l’input – si celi buona parte della poetica di Angela. Almeno di quella più sana, quella inconscia.
A me ha dato questa idea fantasticata a modo mio: “Ti scrivo” . Ho immaginato un reporter, di quelli che siamo usi a leggere sui giornali o vedere in televisione in  situazioni di guerra o di altre angosciose situazioni vitali, provare a descrivere una realtà in affanno o in dissoluzione. Ma a differenza di questi, sorprendentemente, stupendamente, il luogo da dove il reporter scrive è l’aurora.

L’aurora ricorre spesso nella poesia di Angela. Io mi immagino che per lei sia il luogo più protettivo del suo ideale di vita e delle sue speranze. L’aurora simbolicamente significa riproiettare , riprogettare un altro giorno, un’altra vita vissuta nel bagliore – luce  “che sporca il buio della notte” .
E’ come dire “ti scrivo da reporter, da uno che la realtà la vuole guardare e la vuole descrivere, ma ti scrivo dal posto che non so davvero se esiste, e che pure sento mio.”
Cavolo, eccolo qua il conflitto che fa forte una poesia, che le dà piena dignità.
Nell’ “Indistinto” questo conflitto suscitatore di poesia c’è tutto, assecondato dall’altro stupendo verso,  “si è infranto il silenzio del passero che/dormiva sul ramo e si sognava fiore”.

La tematica prevalente, ispirante  e anche respirata come quotidiano, poi si esplica ancora di più nella poesia “Il ciottolo” , con la sua premessa :  

Vivo la mia periferia
nell’insana nostalgia del centro
-          dice il Cuore 

che voglio lasciare, in questo mio commento, nella formulazione visiva originale così come poi si legge, perché anche la prospettiva visiva della sfasatura e della sequenza dei versi ha un senso ed esprime, volendola cogliere, una gerarchia inconscia, dove il Cuore è centrale finale, ma la periferia, seppure con lettera minuscola, è fondamentale, nella sua solo apparente complementarità; è il vivere quotidiano “che mi attraversa come una pena senza nome” e nel percorso necessario per attraversarlo, “ pianto  i  miei passi nel buio.” Cioè, la forza che si usa nello stare piantati con i piedi per terra sebbene non sia terra l’elemento su cui si fa affidamento per trovare un appoggio di stabilità.

Cosa significa questo piantare passi nel buio se non un’antinomia sottile tra ideale e reale in una risoluzione utopica, folle quasi, come, per esempio, ancorare una barca nell’aria, o marciare sulle nuvole.
E il Ciottolo comprende nel suo dire (almeno, dire a me tanto) due altri spunti  efficaci a svelarmi l’indole poetica di Angela. Uno è il finale, un tocco di quasi disillusione, come se la realtà vincesse, con arrogante e deridente preponderanza,fino ad assetare il sogno- ciottolo, abituato, tra l’altro, a sentirsi, in un moto ancestrale e  perpetuo, inondato e abbandonato dalle onde.


L’altro spunto è quel verso 
“lì si fanno mare i miei rivoli
il cielo è caldo di un silenzio
che zampilla in parole
forse poesia.”

Ecco, i rivoli sono il resto della poesia di Angela, le altre tematiche, a volte intimiste, altre volte nostalgiche, altre ancora sfioranti problematiche sociali. Per fortuna, però, pure in una silloge che si dilata e diventa così vasta e poliedrica, Angela non cade nell’errore molto comune del qualunquismo sentimentale o di quello razionaleggiante. Pure piuttosto padrona della parola e capace di orchestrarla nel modo giusto, non ne diventa schiava e, soprattutto, non si narsicizza per questo suo saper poetare. Rimane “pulita” da banalità quando parla del suo essere donna - figlia- madre-moglie-amante virtuale. Rimane ingenua- sagace quando, nella ricerca delle sue radici,  incoccia nella nostalgia che confronta tempi andati col tempo attuale. Diventa umile e affidata, ma non arruolata, pur nella coscienza della propria debolezza, quando parla dell’Altro identificato in un dio o Dio, scritto una volta con la minuscola e una volta con la maiuscola, giusto ad identificare una fede sofferta ma mai prona ,piuttosto  interlocutente, per acquistare onesta saldezza.

E il tutto si compendia in questi passaggi di “Due parole”


                                                 Padre nostro
                                       e alla sera non so dirti altro…
          
                                             E non ti avrei padre
                                           se non ti sapessi nostro
                                              a sporcarti le mani
                                            per guarire questa vita

Che dirti altro, Angela, se non che questi versi, tanto li sento anche miei, che avrei voluto tanto averteli rubati. Cioè, scusa, forse mi sono spiegato male... avrei voluto  scriverli prima io.
Ma forse questa è solo la, ormai rara, magia della poesia.

Costantino Simonelli

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